È sotto gli occhi di tutti che la qualità video degli smartphone, soprattutto di fascia alta, in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante. Da circa un anno utilizzo un Samsung Galaxy S6 e il livello notevole delle riprese video è una delle prime qualità che ho apprezzato. Parliamo di un cellulare che ha un obiettivo principale di 16MP (5MP per quello frontale) e apertura di f/1.9, con un laser autofocus altamente performante per registrare video in 4K alla risoluzione di 3840×2160 pixel. Risoluzione peraltro anche eccessiva, visto che già il FullHD (1920×1080), se non dovete proprio realizzare un film per Hollywood, basta e avanza per video luminosi e nitidi.
Da giornalista, ho subito pensato al mio S6 come a un ideale strumento di lavoro, soprattutto per realizzare interviste. Ma se la pulizia e la nitidezza delle immagini in effetti risultavano notevoli, lo stesso non si poteva dire dell’audio. Non per colpa del telefonino, evidentemente, tra i migliori anche per qualità del microfono integrato, ma perché in esterni la presa del suono è soddisfacente solo se non ci si trova in ambienti rumorosi, e in interni (se non siete proprio in una cattedrale gotica) il riverbero con i suoi spiacevoli effetti è garantito.
Informandomi in rete ho visto che esistono vari microfoni anche economici che si collegano all’uscita audio da 3,5 millimetri dello smartphone. Il “miracolo” di trasformare una connessione per l’audio in uscita, come avviene con le cuffie e gli auricolari, in una per l’audio in entrata, come invece nel caso per la registrazione audio, si attua grazie a prese jack a quattro pin, quelle per capirci che presentano tre lineette nere sull’attacco del jack e che originariamente sono pensate per avere un sistema input/output, come, banalmente, nel caso delle cuffie auricolari con microfono.
Puntando ad un’attrezzatura economica, dopo aver letto le recensioni favorevoli su Amazon, ho scelto un BOYA BY-M1 omnidirezionale (nella foto) allo spropositato costo di 19,95 euro. È un microfono Lavalier, che noi in Veneto chiamiamo “moschetta”, spesso sorvolando sulla doppia t, ovvero quello che si aggancia grazie a una clip sul tessuto del vestito di chi lo usa.
Il BOYA, altro nome che suona familiare a noi veneti, viene fornito con un minikit comprendente, oltre a microfono con copertura polare omnidirezionale a 360 gradi e condensatore: adattatore presa jack, clip per fissare il microfono alla giacca, protezione in gommapiuma (che funge da filtro antivento), batteria, quest’ultima da usare in caso di connessione non a cellulare ma a DSLR, videocamere, registratori audio, pc eccetera.
In realtà a questo proposito il mio consulente nonché guru per quanto riguarda il mondo video Massimo Toniato ritiene che, per quanto sia scritto sulle istruzioni, però la batteria si usa per i microfoni attivi, ossia quelli che necessitano di una etero-alimentazione per migliorare il suono e nessuno dei device sopra menzionati obbligano a usare microfoni attivi. Anzi spesso, è sempre Massimo a segnalare, «specialmente con pc e dslr, il rischio è di registrare un fastidioso rumore di fondo e, alla lunga, anche di rovinare l’hardware». Quindi tenetene conto e prendete le istruzioni di questo e simili modelli con beneficio di inventario, anzi di verifica con la batteria sia attiva sia inattiva.
Tornando al kit acquistato su Amazon, il componente che ho apprezzato di più è il cavo del microfono, assai sottile ma lungo ben 6 metri, il che mi ha fatto pensare che chi ha ideato questo kit fosse un giornalista, vista la necessità in caso di interviste di posizionare la videocamera anche lontano dall’intervistato.
L’esperienza con il nuovo microfono è stata positiva e ho superato rapidamente l’impressione di giocattolo che dava il tutto. Non è un mistero che, per quanto il microfono integrato nello smartphone offra alte prestazioni, non è mai competitivo rispetto a un apparecchio esterno che si può posizionare a pochi centimetri dalla bocca dell’intervistato. E comunque il BY-M1 faceva, e fa tuttora, il suo onesto lavoro, riportando con nettezza la voce ed escludendo gran parte dei rumori esterni.
Realizzate le prima interviste con soddisfazione (eccone una a Paolo Zanzottera al BeWizard 2016), mi sono detto: bello, peccato però che qui non si tratta di vere interviste, ma di dichiarazioni, perché bisogna concordare prima i contenuti e non c’è la possibilità di un botta e risposta, a meno di fare come con questa intervista con Mirko Saini in cui la moschetta oscilla tra me e lui, soluzione macchinosa e non ottimale.
A questo punto ho pensato: e se invece di un solo microfono ne connettessimo due? Detto, fatto. Intanto ho comprato un altro BY-M1. Poi, sempre su Amazon, mi metto alla ricerca. Qui per dirla tutta ho fatto un errore, perché senza badarci ho acquistato a 6,99 euro un cavo Splitter a tre pin (foto a sinistra) che naturalmente non poteva funzionare. Chiaro, mi sono detto, occorre che anche per lo splitter i pin debbano essere quattro e di conseguenza le lineette nere intermedie saranno tre, non due. Ecco quindi in arrivo – ci ha messo dieci giorni, peraltro – il cavo sdoppiatore Y-Form audio da spina Jack 3,5mm a 2x presa Jack 3,5mm, 4pin, stereo, con cavo di 20cm (foto a destra).
Ebbene, con questa soluzione l’intervista a due con Lavalier sia per l’intervistatore che per l’intervistato funziona. E piuttosto bene devo dire. Con un unico, sostanziale difetto: il microfono inattivo, ad esempio quello dell’intervistatore mentre la persona intervistata parla, va “a caccia” di segnale e quindi ci porta nel video dei rumori di fondo.
Il già citato Toniato al proposito ritiene che – gli lascio la parola «una soluzione, di cui peraltro non sono sicuro e bisognerebbe testare, sarebbe di far parlare sia l’intervistatore che l’intervistato proprio con le cuffie auricolari per le telefonate. I microfoni integrati nelle cuffie, infatti, sono ottimizzati per le frequenze medie e, con lo scotto di una qualità audio inferiore, avresti un taglio completo del segnale in caso di rilevato silenzio». Certo che, ed è lui stesso ad osservarlo, «vedere la gente che parla indossando gli auricolari» non è il top: rispetto agli auricolari il Lavalier, o quanto meno il suo cavetto, si camuffa molto più facilmente.
Ad agosto 2016 ho provato ad organizzare una serie di mini-interviste in diretta su Facebook con gli amici dell’Ufficio comunicati stampa del Meeting di Rimini. Le condizioni erano difficili, la connessione non delle migliori (e la qualità delle riprese ne ha risentito), inoltre non ci era possibile illuminare bene i soggetti e soprattutto ci trovavamo all’interno di un padiglione fieristico in piena attività. Risultato: la voce si percepisce molto chiaramente… ma anche un discreto rumore di fondo. Vedi ad esempio questa intervista di Giovanna Lazzarin al grande Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale all’Università di Perugia.
Se però si fa attenzione a scegliere un ambiente minimamente isolato dal rumore, la soluzione con due microfoni è buona. E se non avete un collega che fa le riprese, agganciate lo smartphone a un treppiede (io trovo molto pratico questo). La vostra carriera di giornalista digitale può cominciare!
P.S. Final fun fact per tecnici (ma anche no), che devo sempre alla competenza di Massimo Toniato. Il motivo per cui quando c’è silenzio sale il rumore di fondo è che i device non specifici per l’audio, quali smartphone o dslr, integrano nel sistema il cosiddetto auto level, ossia un livellatore della sensibilità del microfono, un compressore che funziona assieme a un limiter, per fare in modo che tutto l’audio abbia sempre la stessa intensità. Il che può andar bene in situazioni amatoriali, dove l’audio si deve comunque sempre sentire e non deve mai saturare, o appunto nella situazione dell’intervista da cogliere al volo, in un contesto per cui dieci minuti dopo sei già online sul tuo blog e sui social.
Ci sono ovviamente sistemi per risolvere il problema, sia in produzione (ad esempio usando un mixer) sia in post-produzione, lavorando sulle frequenze giuste, tali per cui però usciamo dall’obiettivo di questo post, che è appunto mettere chiunque in condizioni di fare del giornalismo digitale, dove la componente dell’istantaneità è determinante.