Pillole musicali

Vi propongo alcuni brani introdotti da un breve commento di un amico musicologo.

Domenico Scarlatti, Sonata K 27 in si minore – Arturo Benedetti Michelangeli

Un mito del Novecento, uno dei più grandi pianisti della storia. Qui la mano destra si ostina nei suoi tentativi, e la sinistra non la ostacola, anzi, la accompagna, quasi la circonda col suo canto, rendendone più bello, più umano l’impeto vivace. È come l’amicizia.


Georg Philipp Telemann, Ouverture à la Pastorelle

Quanti temperamenti diversi! Alcuni sono simili fra loro (la viola e il violino), altri diversissimi (l’organo e il liuto). C’è quello che non si nota (il fagotto, cupo e brontolone) e c’è quello che spicca (il flauto, solare e argentino). Io sono un po’ come il fagotto. Ma conosco diversi flauti. Un tempo li invidiavo tanto. Pian piano, però, comincio a pensare che senza un fagotto la festa musicale sarebbe più povera. Accettare il proprio temperamento è più facile dentro una compagnia che lo sappia far cantare, come in questa meravigliosa ouverture di Telemann, dove ogni strumento gode, ed ama il prossimo suo perché ama se stesso.


Domenico Scarlatti – Sonata in Mi Maggiore K380

La sonata in Mi maggiore di Scarlatti. Un inizio statico, che quasi non sa muoversi. Poi una nota ribattuta, sommessa, garbata, appena pronunciata, ma insistente; è una voce che chiama, una voce discreta, che scioglie la stasi iniziale e invita ad alzare lo sguardo. E subito una melodia ariosa, bambinesca, sale verso l’alto, verso l’innocenza. Poi un velo di mistero, un passaggio tutto sospeso. Nelle misteriose vicende della vita siamo sempre in attesa di quella nota ribattuta, di quell’invito discreto, sommesso, ad alzare lo sguardo. E la nota ritorna. L’incanto di questo piccolo capolavoro di Scarlatti si legge tutto nell’espressione attonita e meravigliata del grande Horowitz, che ha saputo dare al brano il ritmo lento della quotidianità.


Martha Argerich, Kissin, Levine, Pletnev Bach Concerto For 4 Pianos Bwv 1065

Un concerto di Vivaldi, trascritto e adattato da Bach per quattro clavicembali e orchestra, viene suonato con quattro pianoforti da quattro pianisti che collaborano con discrezione, con stima, con rispetto l’uno dell’altro, rimanendo ciascuno al suo posto. Il vertice sublime di questa collaborazione è nell’adagio, quando l’orchestra tace e i quattro pianisti, in un lungo momento di stasi, producono un’atmosfera sospesa, irrisolta, meravigliati loro stessi di quell’interminabile attesa. Quando delle persone si uniscono con discrezione per costruire qualcosa di umano, di bello, nasce la gioia. E il pubblico lo sente.